CICLISMO

Mader, la mamma: “Credo che fosse destino di Gino morire quel giorno”

Parla per la prima volta la madre del ciclista scomparso durante il Tour de Suisse. “La possibilità che un corridore abbia un incidente in allenamento è maggiore che durante una gara”

Getty Images

Dopo quasi tre mesi dalla scomparsa di Gino Mader a seguito di una caduta in un dirupo durante una tappa del Tour de Suisse, la mamma del ciclista della Bahrain-Victorious ha deciso di rilasciare un’intervista su quel 16 giugno al quotidiano Südkurier.

Quel giorno, racconta, invece di guardare la corsa svizzera è uscita per un evento di lavoro. “Che ci crediate o no sono stata nervosa tutto il giorno, non sapevo nemmeno il perché. Qualche ora dopo ho ricevuto dei messaggi che chiedevano come stava Gino, mi è stato detto che era caduto” racconta. Ma sul momento non ha dato peso alla cosa, le cadute fanno parte della vita di un ciclista. Tanto è vero che, come lei stessa ricorda, “quando qualcuno mi chiedeva se Gino avrebbe partecipato al Tour, ho sempre risposto che una cosa del genere non è mai certa. Una caduta e tutto potrebbe finire, queste furono le mie parole allora”.

“L'unico segno ben visibile era un taglio sopra la guancia, ma i danni cerebrali erano gravissimi e Gino non avrebbe potuto più respirare autonomamente. Quando il medico mi disse che mio figlio non sarebbe stato in grado nemmeno di dire ‘mamma’ e che sarebbe rimasto in quello stato per sempre, senza poter né parlare né camminare, capii che io e mio marito Andreas dovevamo solo scegliere quando e se staccare le macchine che lo tenevano in vita...”.

La signora Sandra, però, non cerca responsabili. “La colpa non è di nessuno. Pedalare in salita e in discesa fa parte del percorso. Anche chi va a lavorare in macchina corre dei rischi. La possibilità che un corridore abbia un incidente in allenamento è maggiore che durante una gara. Credo che fosse destino di Gino morire quel giorno. Due giorni dopo la sua scomparsa abbiamo visitato anche il luogo dell'incidente. Abbiamo raccolto i pezzi del suo casco e ci siamo sentiti legati a lui”.

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